Formaggi pugliesi: tradizione, scienza e innovazione con Michele Faccia

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Pallone di Gravina prossima DOP

Nel panorama dei formaggi pugliesi possiamo realmente contemplare produzioni di tipo diverso che accontentano le esigenze dei palati di tutti. Oltre le tradizionali produzioni di paste filate e pecorini, tipici delle ragioni del sud, abbiamo davvero l’imbarazzo della scelta: mozzarelle, burrate, scamorze, caci e caciocavalli; i formaggi pugliesi, derivati da latti ovini, caprini e bovini, vantano certificazioni comunitarie e ministeriali di pregio, dai DOP ai PAT, che sono i Prodotti Agroalimentari Tradizionali certificati dal Mipaaf.

Il settore delle produzioni lattiero casearie pugliesi è dunque variegato e complesso, con formaggi tipici conosciuti e ricercati in tutto il mondo. Nel caso dei formaggi pugliesi, inoltre, il legame con le tradizioni e la ricerca di sapori genuini e freschi da parte dei consumatori, giocano ruoli fondamentali nel successo di questo comparto sia esso di immagine che economico.

Se della tradizione molti di noi possono discutere con una certa consapevolezza, non è lo stesso per quanto riguarda tutto ciò che ha a che fare con l’innovazione delle tecniche di produzione e conservazione; a tal proposito, abbiamo voluto farci una chiacchierata con Michele Faccia, professore associato di Scienze e Tecnologie Alimentari presso l’Università degli Studi di Bari.

Il professore Michele Faccia nel laboratorio del Dipartimento di
Il professore Michele Faccia nel laboratorio del Dipartimento di Scienze e Tecnologie Alimentari dell’Università di Bari

Il professore Faccia è stato ed è docente incaricato di diverse discipline del settore, tra cui Tecnologia dei Prodotti Lattiero-caseari. Si occupa di ricerca ed assistenza tecnica nel settore caseario da circa 25 anni. È stato referente scientifico di numerose iniziative per la promozione, la divulgazione e la tutela di formaggi pugliesi, attivate da Enti Pubblici ed aziende private. È stato responsabile scientifico di numerosi contratti e progetti di ricerca riguardanti il settore lattiero-caseario. Collabora come referee con importanti riviste scientifiche internazionali. È autore di oltre 100 pubblicazioni scientifiche comparse su riviste a diffusione prevalentemente internazionale o su atti di convegni nazionali ed internazionali.

Insieme all’Università di Bari sta per stringere una forte partnership con ONAF, l’Organizzazione Nazionale Assaggiatori Formaggi, e si occupa anche di Analisi Sensoriale degli Alimenti. Recentemente ha realizzato e pubblicato un’articolata scheda di valutazione della mozzarella. Ed, infine, è anche assaggiatore ufficiale ONAV, l’Organizzazione Nazionale Assaggiatori Vino. Quindi, ecco la nostra intervista fra scienza e gusto.

D: Professore, quale il significato e il valore del suo lavoro e di quello dei suoi colleghi nel settore lattiero caseario pugliese e italiano che noi consumatori percepiamo essere legato a tradizioni produttive, alla nostra storia e identità, alla tipicità artigianale?

Michele Faccia: Il nostro obiettivo è duplice: valorizzare le produzioni tradizionali e fare innovazione di processo e di prodotto. I due obiettivi sembrano in antitesi, ed un po’ in effetti lo sono: infatti per il primo obiettivo collaboriamo con aziende di piccola dimensione, per il secondo con imprese più grandi.

Nel primo caso si cerca di migliorare il profilo qualitativo dei formaggi tradizionali senza stravolgere i processi (si tratta di razionalizzare le lavorazioni, controllare meglio gli aspetti igienico-sanitari e caratterizzare i prodotti a livello scientifico); nel secondo caso si tratta di mettere a punto formaggi di nuova concezione, ad esempio con migliori caratteristiche nutrizionali o ottenuti da particolari tipologie di latte, o di introdurre nuove tecnologie in grado di migliorare l’economia del processo o alcuni aspetti qualitativi del prodotto quali sapore, conservabilità, sicurezza, etc.

Domanda: Relativamente alla tutela delle produzioni lattiero casearie pugliesi e all’accrescimento della qualità del comparto, qual è la portata dell’apporto degli studi che effettuate nel contesto del settore Scienze e Tecnologie alimentari del Dipartimento di scienze del suolo, della pianta e degli alimenti dell’Università di Bari?

R: Gli studi del nostro gruppo di ricerca sono prevalentemente di tipo applicativo: cercano di risolvere problematiche concrete, che spesso arrivano direttamente dagli operatori del settore. Diversi studi, infatti, sono commissionati da Enti o Aziende del comparto lattiero-caseario, attraverso diretti contributi di ricerca o partecipazione a progetti di più ampio respiro. In questo senso siamo un punto di riferimento consolidato per le aziende del territorio sul quale insistono circa 300 caseifici, cui va aggiunta una miriade di aziende agro-zootecniche che in qualche modo fanno trasformazione casearia.

Formaggi pugliesi: la burrata
La burrata è uno dei più conosciuti formaggi pugliesi

D: Quanto delle ricerche a livello universitario divengono parte di studi eseguiti da enti e produttori e quanto dei metodi scientifici di analisi del prodotto divengono prassi certificate? C’è comunione di intenti fra gli stakeholder per ciò che riguarda i formaggi pugliesi?

Come ho precedentemente detto, le nostre ricerche hanno sempre una partnership con imprese o Enti che operano nel settore caseario. In quanto al trasferimento dei metodi di analisi del prodotto, bisogna fare un distinguo tra metodi approvati a livello giuridico o nella prassi consolidata, come possono essere le metodiche FIL/IDF, e metodi innovativi proposti attraverso pubblicazioni scientifiche.

Nel primo caso sono sempre più le metodiche che entrano nei processi di certificazione con il nostro supporto tecnico: a titolo di esempio cito la ricerca dei germi alteranti quali Pseudomonas spp, il batterio divenuto famoso in quanto responsabile dei casi di mozzarella blu. La ricerca di questi germi non è obbligatoria per legge, ma noi la stiamo introducendo nella prassi in diverse aziende con cui collaboriamo.

Per i metodi innovativi, invece, è un discorso complesso: queste metodiche hanno bisogno di lunghi anni per la validazione e la successiva adozione a livello legale. Sempre a patto che vi sia un interesse reale a portarlo avanti. Si tratta in tal caso di volontà politica in senso ampio.

D: Normative europee e normative italiane, un confronto possibile oltre le consuete polemiche sul fatto che i legislatori europei non sono in grado di comprendere e valorizzare i formaggi italiani e i metodi di produzione tradizionali.

R: Su una cosa bisogna esser chiari: il doppio binario normativo è in via di estinzione. La UE persegue da sempre il preciso obiettivo di armonizzare ed unificare la normativa alimentare degli Stati membri. Il punto è il come farlo: tutto lascia pensare che le linee guida continuino ad essere quelle dei Paesi con scarsa tradizione enogastronomica, che si basano solo sulla sicurezza alimentare e non sulla tradizione e sulla biodiversità delle produzioni.

Avremo la forza, noi Paesi che ci affacciamo sul Mediterraneo, di spuntare altre indicazioni e tutele obbligatorie in etichetta, oltre alle DOP e alle IGP? Temo proprio di no…

D: Prodotto fresco, semistagionato e stagionato: ha senso affermare che dobbiamo prestare particolare attenzione sia nella produzione che nella conservazione e consumo dei formaggi freschi e più in generale, di tutti i derivati del latte freschi?

R: Sì, senza alcun dubbio. I formaggi freschi sono facilmente aggredibili da parte di germi anche patogeni. La recrudescenza di germi temibili quale la Listeria negli ultimi anni è un fatto risaputo: non bisogna mai abbassare la guardia.

Tutti i freschi vanno realizzati da latte pastorizzato o, se prodotti da latte crudo, le condizioni igienico-sanitarie di tutto il processo devono essere ineccepibili (e le analisi di laboratorio vanno intensificate). Questo deve valere anche per la distribuzione: fondamentale è la catena del freddo. Non basta tenere il prodotto in frigorifero, occorre verificarne l’efficienza termica. Catena del freddo significa 4-6°C, non 8-10 °C, è un’informazione molto importante!

D: Gli studi effettuati sulle produzioni lattiero casearie locali le permettono di avere un punto di vista privilegiato sul comparto pugliese: artigianalità, tipicità, meccanizzazione industriale e, non per ultimo, livello qualitativo, sono alcuni dei fattori che danno il polso della salute di un settore fondamentale per l’economia pugliese. Può darci una considerazione in merito?

R: Mi permetto di dire che sulla meccanizzazione esistono spesso false convinzioni. Meccanizzare nell’industria casearia non significa necessariamente perdita di tipicità, gusto, qualità complessiva. Quello che conta è che la materia prima, le fermentazioni, i biochimismi caratteristici di ogni formaggio vengano rispettati.

Ad esempio, filare a mano un Fior di Latte fatto con acido citrico o con cagliata congelata di importazione non restituisce di certo ad esso gusto, tipicità e territorialità. Viceversa, un Fior di Latte filato meccanicamente, ma prodotto in caldaia con sieroinnesto autoctono, conserverà tutta la bontà del prodotto tradizionale.

In Puglia vi sono aziende che fanno della tradizionalità del processo una bandiera, altre che invece tendono ad un processo più standardizzato. Ma il mercato è ampio e variegato: c’è spazio per tutti. Al consumatore la giusta scelta: in ogni caso mi sento di dire che in Puglia, mediamente, vi è un buon connubio tra tradizione e innovazione impiantistica.

Il logo Prodotti di Qualità Puglia
Il logo Prodotti di Qualità Puglia dell’Assessorato all’Agricoltura della Regione Puglia

D: Una riflessione sulla materia prima, se possibile: si parla molto poco di disciplinari sul latte pugliese e sui suoi derivati.

R: La Regione Puglia è all’avanguardia in tema di territorialità. Da tempo esiste un marchio gestito dall’Assessorato all’Agricoltura denominato Prodotti di Qualità Puglia, riconosciuto dalla UE, che ha disciplinari rigidissimi in merito all’origine delle materie prime. Per i prodotti caseari, il processo di certificazione prevede che l’azienda “certificanda”porti con sé, lungo il percorso, le stalle locali che forniranno il latte. In pratica, senza la partnership, cioè i contratti di fornitura con le aziende zootecniche, nessun caseificio può ottenere l’uso del marchio.

Per quanto riguarda invece le produzioni casearie di massa…. Beh, il discorso è semplice: il costo del latte alla stalla in Puglia è tra i più alti in Italia: i caseifici che puntano solo sulla competitività del prezzo non possono usarlo, se non in modesta quantità. E’ dunque una scelta aziendale. Non di rado vi sono aziende che hanno una doppia linea produttiva: una da latte locale, più costosa, e una da latte comunitario, chiamiamola low cost.

D: Quanto del latte usato per produrre i formaggi pugliesi, proviene da mucche locali? Si può parlare di razze bovine tipicamente pugliesi?

Non esistono razze bovine tipicamente pugliesi. Possiamo affermare che esistano significative popolazioni di razze bovine autoctone da latte in Italia? No, in nessun modo! Frisona, Bruna, Jersey, Pezzata Rossa sono tutte razze internazionali: questo è il quadro in Italia e nel mondo. Se vogliamo parlare di nicchie è un altro discorso: in tal caso ogni Regione ha il suo pezzo da museo. In Puglia esiste ancora qualche allevamento di mucche Podoliche che producono 8 litri di latte al giorno per pochi mesi all’anno. Ne consegue che il Caciocavallo Podolico ha un prezzo di mercato elevato, praticamente a peso d’oro.

D: Nello studio “Un approccio analitico alla rivelazione dell’uso di cagliate conservate nella produzione della mozzarella vaccina” rintracciabile su Google Scholar, lei e il team di ricercatori*, affermate che “La mozzarella meridionale tradizionale (Fior di Latte) possiede caratteristiche peculiari, riconducibili principalmente alla materia prima e alla tecnologia di produzione. Negli ultimi anni, quest’ultima ha subito profonde evoluzioni a seguito delle particolari dinamiche di mercato del prodotto”. Ci può raccontare qualcosa in merito?

R: La tecnologia tradizionale è quella a sieroinnesto. E’ costosa, complicata e non è facilmente proponibile per prodotti che devono viaggiare nel mondo: il prodotto è eccezionale ma difficilmente standardizzabile ed ha una shelf-life problematica. E’ dunque normale che il prodotto export sia fatto con tecnologia più standardizzata (acidificazione diretta o fermenti selezionati), anche se qualche eccezione c’è, ad esempio in Puglia, nel comune di Gioia del Colle, c’è un Consorzio di produttori che sta resistendo con il sieroinnesto.

D: Professore, lei collabora anche con Onaf, quindi conosce molto bene i formaggi, in tutti i loro aspetti; se uno studio scientifico può darci la possibilità di “discriminare la mozzarella realizzata a partire da latte fresco da quella ottenuta con semilavorati (cagliate refrigerate/congelate di importazione) mediante un approccio di tipo molecolare“, un consumatore non può sempre accedere a studi di questo tipo, ci chiediamo dunque quali possono essere i requisiti ai quali possiamo avere un accesso immediato per comprendere se il prodotto che abbiamo acquistato sia di qualità o meno.

R: Non è facile cogliere le differenze con il semplice assaggio, se non si è esperti. Ed anche noi, talvolta, fatichiamo: è sempre possibile che il prodotto sia stato realizzato con sapienti tagli di materie prime. Il comune consumatore ha solo due strumenti: la fidelizzazione ad una azienda che conosce, e il prezzo di vendita. Una mozzarella che costa 5-6 euro al chilo al dettaglio non può arrivare da latte fresco di qualità.

D: Infine, la domanda fondamentale, con la quale salutarci, fra i formaggi pugliesi, ci dica quale preferisce: mozzarella, burrata o stracciatella?

R: Domanda da “one billion dollars”! Tutto buono, io ancora oggi non mi stanco mai di queste bontà! Direi a ciascuno il suo, purché di qualità, da latte fresco, pugliese.

“Entrati, gli occhi stupefatti in giro
Noi portavam: le aggraticciate corbe
Cedeano al peso de’ formaggi, e piene
D’agnelli, e di capretti eran le stalle;
E i più grandi, i mezzani, i nati appena,
Tutti, come l’etade, avean del pari
Lor propria stanza; e i pastorali vasi,
Secchie, conche, catini, ov’ei le poppe
Premer solea delle feconde madri,
Entro il siere notavano. Qui forte
I compagni pregavanmi, che, tolto
Pria di quel cacio, si tornasse addietro,
Capretti s’adducessero, ed agnelli
Alla nave di fretta, e in mar s’entrasse.”
(Odissea, Omero, Libro IX)

*Michele FACCIA, Pasqua LOIZZO, Antonio TRANI,Rosa GAGLIARDI, Sara LAMPARELLI, Paolo SCROCCHI, Aldo DI LUCCIA

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Scienze, tecnologia, alimentazione, content marketing e social media sono le mie passioni. Suggestioni e progetti il mio motto. La cultura digitale non è tutto, ma la punteggiatura corretta è fondamentale. Se volete davvero commuovermi mostratemi un'astronave sullo sfondo degli anelli di Saturno o una burrata fresca di caseificio; non necessariamente in quest'ordine.

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