Grano Arso, la storia ci dà lezioni di gusto e scienza

0
2633

C’erano una volta, nel Paleolitico Superiore, alcune genti del Gargano che si erano inventate un metodo per macinare i chicchi di grano, questo ben prima dell’avvento dell’agricoltura che avverrà qualche migliaio di anni dopo.

Fu dalle parti di Rignano Garganico, nell’antichissimo sito di Grotta Paglicci, che quel giorno di 32.000 anni fa, qualcuno abbandonò un pestello da macinazione come noi oggi potremmo abbandonare un vecchio frullatore, in un angolo della cucina.

Il bello è che questo pestello ha attraversato i millenni, nascosto e protetto nella grotta, e su di esso sono stati trovati residui di grani di amido, di avena per la precisione. Ce lo racconta uno studio pubblicato sui Proceedings of the National Academy of Sciences, curato da ricercatori italiani dell’Università di Firenze e di Siena, della Sopraintendenza all’archeologia della Toscana e dell’Istituto italiano di preistoria e protostoria, il tutto a testimonianza del fatto che l’evoluzione dell’umanità, anche in “cucina”, è affare di importanza mondiale.

Come riporta un articolo di Le Scienze, questi cacciatori-raccoglitori avevano imparato ad ottenere farina dalla manipolazione delle piante: “L’analisi condotta dai ricercatori indica che la tecnica adottata prevedeva almeno quattro fasi di preparazione: l’essiccazione della parte da macinare che veniva accelerata con un trattamento termico, la macinazione, il mescolamento con acqua e la cottura. La prova che prima della macinazione le piante subissero preriscaldamento – utile anche a rendere più agevoli le fasi successive – deriva dal particolare stato di conservazione dei granuli di amido recuperati sul pestello”.

Che la Puglia sia un territorio speciale non finiremo mai di affermarlo e che le genti di Puglia siano particolarmente intraprendenti a livello culinario non è certo un mistero.
Battute a parte, millenni dopo aver abbandonato quel pestello a Grotta Paglicci, simbolo di sapienza e del potere di badare a se stessi riempiendosi lo stomaco con un cereale di elevate qualità nutrizionali, anche questa regione d’Italia ha vissuto per lungo tempo sotto il giogo di proprietari terrieri latifondisti tanto che dei prodotti della sua terra, in alcuni casi, ha potuto godere ben poco.

C’erano un’altra volta, perciò, i chicchi di “gren iers” o “greni ars”, di grano arso.
I luoghi sono quelli, fra Foggia e i territori a nord di Bari, la fatica di procurarsi il cibo la stessa. Poiché il raccolto doveva necessariamente essere ceduto ai padroni dei campi oppure erano tempi di carestia, con cosa potevano panificare i contadini?
La semola di grano arso nasce dalla necessità di recuperare i chicchi di grano sopravvissuti alla mietitura bruciando le stoppie rimaste per terra; una volta arse le stoppie, i chicchi, liberati dalle spighe, erano sottoposti a molitura per ricavarne uno sfarinato integrale che non sapeva di bruciato, ma aveva certo un sapore forte, intenso.

In quest’ultimo decennio non suona nuovo affermare che in gran parte d’Italia si sia avviato un processo di riscoperta delle antiche tradizioni enogastronomiche, l’uso del grano arso non fa eccezione, tranne che per la diffusione ancora circoscritta ad alcune zone della Puglia o a segmenti particolari di mercato dediti alla ricerca di alimenti meno comuni sulle tavole quotidiane. Attualmente le paste e i panificati di solo grano arso difficilmente vengono prodotti a causa del gusto estremamente forte, ma produttori locali, produttori di alimenti biologici e un pastificio di livello nazionale ne producono già in quantità commercializzate sia nei negozi che sui siti di e-commerce.

Il grano arso non viene più prodotto come ai vecchi tempi, per ovvie ragioni, ma con un procedimento di tostatura diretta delle cariossidi che genera una forte caratterizzazione della materia prima e del prodotto finito, tali che ne è nata anche la necessità di stabilire un disciplinare di produzione che costituisca la base per la richiesta di una certificazione del prodotto. Le alterazioni organolettiche, meccaniche e chimico fisiche del grano arso, infatti, determinano una ridotta possibilità che si possa creare quel complesso proteico chiamato glutine che è una delle caratteristiche fondamentali nel giudicare la resa di una farina. Le semole di grano arso possiedono comunque un maggior contenuto proteico e un maggior contenuto in sali minerali in forma di ceneri.

Non è, in ogni caso, una farina adatta ai celiaci, e deve comunque essere miscelata ad altra farina di grano a causa del gusto, della tenuta in cottura e delle scarse capacità di lievitazione: i prodotti tipici pugliesi a base di grano arso, normalmente, non ne contengono più del 20/30%, la restante parte essendo necessariamente farina di semola di grano duro e, a volte, anche uova.
Le paste di grano arso sono sovente formati tipici, commercializzate sia fresche che secche, come le orecchiette, che ben si prestano alla preparazione di saporite e profumate pietanze tradizionali. Non vogliamo, però, farci mancare panini e focacce, il tutto accompagnato da ingredienti semplici: pomodorini, cime di rapa, burrata, caciocavallo.

‘U Tavulijeré mijé, nun’eijé ‘na fazzatoré pe’ ‘mbastà;
e manghé ‘na tavule pé’ struculà
li panne. ‘Nu chijane,issé,eijé,
ka se stenné citt’ e sulenne,
‘ndra mare, terr’e cijele
e mundagnole.
(Ester Loiodice, ‘U canté d’u tavulijeré, 1961, Editrice Convivio Letterario Milano)

Aleksandra Semitaio

SHARE
La redazione di Gusto News

NO COMMENTS

LEAVE A REPLY