Andrea Serravezza, innovazione e tipicità

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Abbiamo fatto una vivace chiacchierata con Andrea Serravezza, chef salentino rinomato per la sua raffinata cucina a chilometro zero e per aver scoperto qualcosa di davvero speciale che ci faremo raccontare da lui stesso.

Certo, può essere facile confondere le tipicità agroalimentari di un territorio con l’idea di una tradizione addormentata e rinchiusa in se stessa, reiterata troppe volte, privata anche del valore prezioso della tradizione familiare.
Ma il vero gusto nel riscoprire i prodotti tipici ci sorprende sovente nella sperimentazione, nella ricerca e, al contempo, fra le mani attente all’innovazione di uno chef appassionato dei propri luoghi di origine.

Domanda: Nel 2012 lo chef Serravezza si classifica terzo nella competizione nazionale del Bocuse d’Or. A tre anni da questo importante traguardo è cambiato qualcosa nella tua cucina? Lavori sempre in assoluta autonomia?

Andrea Serravezza: Mi posso sicuramente definire uno chef free lance, ma lavoro spesso sia per la Tenuta Tresca, a Botrugno, dedicandomi in particolar modo a creare menu per i matrimoni, che con il ristorante Torre del Parco, in centro a Lecce. Per quanto riguarda il concorso del 2012, posso dirti che è stato fonte di grande soddisfazione perché sono stato l’unico chef a rappresentare la Puglia e perché, grazie a questa esperienza, ho capito che spostando l’asse delle mie esperienze al di fuori del mio territorio di formazione, ci sono sempre motivi per crescere.

D: Qual è il tuo rapporto con le produzioni agroalimentari tipiche del Salento?

Andrea Serravezza: Al concorso nazionale ho scommesso tutto sui prodotti tipici pugliesi, ho preparato i miei piatti, compreso quello per essere selezionato, basandomi sull’uso dell’olio extra vergine di oliva, nonostante in questo concorso prevalga sempre l’uso spiccatamente francese di condimenti a base di burro e salse. C’è stata molta attenzione nei miei confronti perché ero l’unico chef a non aver ancora conquistato nessuna stella Michelin e perché ho proposto piatti creati con la crema di fave o la crema di ceci, penalizzando l’uso di ingredienti di provenienza internazionale ed esaltando l’uso di ingredienti tipici della cucina contadina interpretandoli in modo innovativo.

D: Il Salento è terra d’elezione della tua cucina oppure fai volentieri incursioni nel resto della Puglia?

Andrea Serravezza: Scelgo i prodotti in base alle esigenze, non mi sento costretto ad attenermi ai soli prodotti salentini, ho usato il Capocollo di Martina Franca e il Caciocavallo Podolico, per esempio. Ma il punto non è il nome della materia prima. Il punto è che non si può progettare un menu che sia davvero valido tutto l’anno: il tonno rosso, per esempio, non si trova in tutte le stagioni. E considero un fatto negativo che ristoranti di un certo calibro producano menu identici per tutte le stagioni. Un altro fattore negativo è copiare i piatti ideati per un determinato evento, stagione o cliente. Un piatto copiato e copiato male, perde la sua anima, perché non vengono rispettati i criteri di stagionalità e tipicità di un prodotto.

D: In effetti, per quanto riguarda la Puglia, un fattore importante è la grande varietà di prodotti agroalimentari stagionali; tu cosa ne pensi?

Andrea Serravezza: Il concetto della stagionalità dei piatti pugliesi è fondamentale se fai ristorazione di un certo livello. La grande varietà di prodotti a disposizione mi permette di elaborare un piatto diverso per ogni giorno dell’anno, mantenendo l’ingrediente d’elezione, rappresentativo della stagione in corso, come caratteristica principale del piatto.

D: Quali sono i prodotti agroalimentari tipici che ami usare nella tua cucina?

Andrea Serravezza: In questo momento dell’anno mi vengono in mente il fungo cardoncello, il carciofo violetto, la pastinaca (che è un tubero simile alla carota, lungo e biancastro) e la patata sieglinde, coltivata da Nardò a Taranto a Gallipoli, poco conosciuta da queste parti e prodotta soprattutto per l’esportazione nel resto d’Europa. E ancora, mi sovvengono il pomodorino invernale, i legumi secchi come il pisello nano di Zollino che si pianta durante l’inverno, si raccoglie fra giugno e luglio e viene essiccato per il consumo invernale, così come gli ortaggi secchi, dal più comune pomodoro alla zucchina, al peperone e alla zucca. Senza dimenticare le fave sgusciate.

D: Perché farsi un punto d’onore nell’uso dei prodotti della propria terra? Qual è il valore aggiunto?

Andrea Serravezza: Come chef ho un ottimo rapporto con il territorio in cui lavoro, il mio intento è quello di limitare l’ingresso nella ristorazione di prodotti agroalimentari di provenienza estera, perché l’elemento qualità viene a mancare. Alimenti congelati, proposti senza dichiararne la provenienza, danneggiano la ristorazione condotta con serietà e passione per la propria terra. Laddove il Salento è una famosa meta turistica, purtroppo è meno famoso per la sua cucina. Da Brindisi in giù, spesso gli chef non possono mettere sul piatto ciò che vorrebbero, perché non sono supportati dagli imprenditori, tanto è vero che gli chef stellati più conosciuti, se consulti qualsiasi guida, li trovi dalla Valle D’Itria salendo verso nord. Come si dice, nessuno è profeta in patria, e io sono più conosciuto uscendo fuori dal Salento.

D: Se c’è un prodotto che più di tutti ti sta a cuore, ce lo racconteresti?

Andrea Serravezza: La storia dell’oliva Cellina di Nardò usata per la produzione di creme e sciroppi dolci è una storia di ricerche ed esperimenti fatti nelle mie cucine grazie ai quali abbiamo individuato, in questa particolare cultivar, l’unica drupa amara che sviluppa sentori fruttati, un retrogusto persistente di frutti di bosco. Quando si parla di olive, si pensa all’olio oppure ad un alimento salato, con questa piccola oliva nera e succosa, invece, è successo qualcosa di diverso e irripetibile. Tanto che abbiamo provato a replicare il procedimento per altre cultivar, ma nessuna come la Cellina si presta a questo risultato, perciò l’utilizzo come ingrediente dolce è limitato solo a questa oliva. In buona sostanza, le olive sono deamarizzate e addolcite seguendo una ricetta protetta da un brevetto industriale grazie alla quale l’associazione con lo zucchero sprigiona gli oli essenziali che sanno di frutti di bosco. Le creme spalmabili, gli sciroppi e le olive dolci denocciolate che ho creato, raggruppati sotto il marchio Olivotto, sono usati per produrre gelati, il Pan d’Olivotto della Forneria Lenti Grottaglie, il Panbriacone Quadro dei Fratelli Bonci di Arezzo ed anche alcune paste del pastifico Morella di Gioia del Colle. Prodotti innovativi, ma creati e preparati con un occhio speciale alle nostre radici, agli alimenti che fanno parte da sempre della storia dell’umanità.

D: Grazie mille e buon lavoro!

R: Grazie a voi e in bocca al lupo!

Aleksandra Semitaio

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La redazione di Gusto News

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